Malpractice in Medicina
“Il termine anglosassone medical malpractice tradotto in italiano può significare, a seconda dei casi, abuso o illecito o negligenza o imperizia”.
Per prima cosa è importante precisare che la medicina non è una scienza caratterizzata da risultati assoluti; 0% e 100% infatti non esistono. I motivi di ciò risiedono nella natura stessa dell’uomo, nella sua biologia e nel comportamento delle differenti patologie. Accanto a tale dato occorre però evidenziare la esistenza di abusi e di atteggiamenti professionali che non trovano corrispondenza con la deontologia medica e con gli standard minimi di assistenza. Per definire questo ambito della medicina viene abitualmente adottato il termine malpractice sanitaria (o medica), nel quale si fanno confluire i concetti di abuso, di illecito, di negligenza, di imperizia.
La malpractice sanitaria (altrimenti conosciuta come malasanità) si verifica nel momento in cui un soggetto erogatore di servizio (azienda ospedaliera, medico, ecc) – non rispettando le linee guida minime per la assistenza specializzata – provoca danni o lesioni gravi e permanenti (o morte) al Paziente. Questi eventi – che spesso sono esclusivamente conseguenza della natura della patologia da cui il Paziente è affetto – in alcuni casi possono dipendere da una diagnosi non corretta o da una scelta terapeutica sbagliata/azzardata da parte del professionista sanitario.
La malpractice può infatti essere conseguenza di un disprezzo per l’etica e per appropriate misure di assistenza sanitaria, e si configura quando l’errore determina un effettivo danno al Paziente. Tale concetto ha pertanto una accezione notevolmente differente da quella di negligenza medica, che è invece definita come il mancato rispetto di determinati standard (spesso dovuto a disattenzione).
Nell’ambio della malpractice sanitaria, si riconoscono:
– diagnosi inadeguata. La mancata corretta diagnosi di una determinata patologia può determinare un aggravamento delle condizioni di salute del Paziente, un peggioramento della sua qualità di vita, ed un incremento dei costi sostenuti. Si configura questo scenario quando il Paziente viene trattato per una patologia che non ha, oppure quando viene trattato inadeguatamente o in maniera insufficiente per una patologia che ha.
- competenza inadeguata. Quando la struttura sanitaria o il professionista, essendo consapevoli di non avere a disposizione la competenza o la strumentazione che garantiscano il più efficace trattamento della patologia del Paziente, effettuano procedure o trattamenti (spesso di tipo chirurgico) che possono compromettere il risultato clinico finale.
- mancanza di adeguato trasferimento di informazioni al Paziente. Tradizionalmente, il consenso informato viene inteso come un modulo da far firmare al Paziente. Nella realtà, la deontologia medica impone che il consenso sia costituito da un adeguato e prolungato colloquio clinico tra Paziente e Medico, nel corso del quale il professionista deve trasferire tutte le informazioni utili affinché il Paziente possa pienamente comprendere il proprio stato di salute, le opzioni di trattamento praticabili, le complicanze prevedibili, ed i risultati attesi; il colloquio deve infine concludersi con la registrazione della firma del Paziente su uno specifico modulo. Il Paziente deve essere messo nella condizione di prendere consapevolmente le proprie decisioni in relazione ad ogni atto medico (fanno eccezione le emergenze mediche, in quanto il paziente non può essere cosciente o coerente).
La Scuola di Medicina di Harvard stima che circa il 18 per cento dei Pazienti subisce, in qualsiasi ospedale, una lesione o un trattamento non idoneo.
Comunque, indipendentemente dalla esattezza di questo dato, la responsabilità per tali errori può dipendere:
– dalla struttura ospedaliera, che non ha rispettato il proprio obbligo di vigilare sull’operato dei propri dipendenti;
- da un operatore sanitario negligente;
- da una equipe (medici ed infermieri) che, pur consapevole dei limiti nella preparazione e nelle competenze di un determinato operatore sanitario, non ha denunziato la situazione (rendendosi di fatto connivente e corresponsabile);
- in caso di procedura effettuata da un medico in corso di formazione, dal medico senior (tutor), che nel corso della specifica procedura ha la responsabilità di vigilare e, qualora lo ritenga necessario, di interrompere la procedura e/o di portarla lui personalmente a compimento.
Il progressivo miglioramento delle tecniche e degli standard in sanità ha consentito l’affinamento delle conoscenze ed il conseguimento di risultati clinici sempre migliori. Questo processo ha però anche contribuito a generare in alcuni Pazienti l’equivoco che ad ogni forma di trattamento debba necessariamente corrispondere un risultato positivo ed utile. Tale argomentazione non è purtroppo applicabile in ambito sanitario, laddove il risultato di una terapia dipende da una variabilità di fattori fra cui le caratteristiche del Paziente (età, comorbidità, ecc), la patologia (stadio e modalità di presentazione), la risposta biologica a determinati trattamenti, ecc.
Tale maggiore aspettativa da parte dei Pazienti spesso conduce – in caso di insuccesso e/o di complicanze – ad un eccesso di denunce e contenziosi (tanto in ambito penale, quanto in ambito civile) nei confronti dei professionisti e delle strutture sanitarie.
Nella presente sezione vengono analizzate esclusivamente le ipotesi di trattamento deontologicamente, eticamente o professionalmente sbagliate, con la dichiarata intenzione a voler effettuare valutazioni equilibrate e rispettose (tanto nei confronti del Paziente, quanto nei confronti dei professionisti del settore sanitario).
Alcune patologie sono difficili da diagnosticare, ed il medico può avere bisogno di spendere molto tempo e risorse prima di giungere ad una corretta diagnosi. Il Paziente non deve pertanto essere indotto a ritenere che – qualora una diagnosi non sia stata raggiunta – questo possa o debba necessariamente dipendere da una forma di negligenza o di errore medico.
È fondamentale però che, nell’ambito del percorso diagnostico, la struttura ospedaliera ed il professionista sanitario adottino tutti i criteri procedurali, di deontologia medica e di onestà intellettuale atti a ridurre gli errori. Infatti, ad una errata diagnosi spesso consegue un trattamento (farmacologico o chirurgico) sbagliato che, oltre ad essere probabilmente inefficace, può addirittura arrecare ulteriori danni e conseguenze cliniche al Paziente.
Nell’ambito degli errori diagnostici, si riconoscono tre categorie:
- mancata diagnosi di patologia;
- diagnosi non accurata o tardiva;
- diagnosi sbagliata.
Negli ultimi 30 anni si è assistito ad un miglioramento e ad una evoluzione delle tecniche e delle procedure chirurgiche e diagnostiche; ciò consente agli operatori della sanità di oggi poter effettuare diagnosi e trattamenti sempre più raffinati. Purtroppo, occorre realizzare che gli avanzamenti tecnologici non sempre possono essere applicati a tutti i Pazienti; esistono infatti patologie (o stadi di patologia) in cui la adozione di una tecnica – per esempio – mininvasiva o tecnologicamente più avanzata può essere controproducente se non addirittura dannosa.
Così come in sartoria, non esiste l’abito che va bene per tutti: se si vuole un abito che vesta bene, questo dovrà essere confezionato su misura, in relazione alle esigenze ed alle caratteristiche del Paziente. Il buon professionista è pertanto colui che investe tempo nella analisi e nello studio del proprio Paziente, al fine di individuare il percorso che possa garantire i risultati più efficaci e sicuri (per il Paziente), indipendentemente dal proprio ritorno personale.
In ambito chirurgico si riconoscono differenti tipologie di malpractice, caratterizzate dalla esecuzione di interventi chirurgici:
– inutili. Si verifica quando un professionista effettua un atto operatorio sapendo già a priori che non darà vantaggio al Paziente; l’atteggiamento è di particolare gravità in quanto è ben noto che tutti gli interventi chirurgici hanno dei rischi, possono comportare dolore, ed hanno costi (fisici ed economici).
- pericolosi. A tale proposito occorre ricordare che tanto più recente è la tecnologia, tanto minore è il periodo di suo effettivo utilizzo; in determinati casi, si possono pertanto avere maggiori rischi per la salute del Paziente.
- a carattere sperimentale. Un Paziente, ogni qual volta venga sottoposto ad un trattamento chirurgico o sanitario a carattere sperimentale, deve essere adeguatamente informato sulla natura della patologia da cui è affetto, sullo standard nazionale ed internazionale di trattamento per quella determinata condizione clinica, sulle ragioni che inducono il professionista a proporre un trattamento sperimentale, sulla natura e sulle complicanze del trattamento proposto, sulla esistenza di alternative terapeutiche. In aggiunta, ogni Paziente deve essere ben consapevole che non possono essere eseguiti trattamenti a carattere sperimentale al di fuori di protocolli previamente approvati da un Comitato Etico (Aziendale o Regionale). Al Paziente devono pertanto essere consegnati specifici moduli informativi, che egli dovrà conservare, nei quali devono essere riportate tutte le informazioni di cui sopra.
Attività svolta dal dott. Camerota
Il dott. Camerota, compatibilmente con i propri impegni professionali specifici, svolge attività di consulenza esclusivamente per conto dei Magistrati del Tribunale civile e penale, e delle Procure; non effettua attività di consulenza di Parte.
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